Rosita va a ballare per la prima volta in milonga ma non è andata come sperava. La sua amica la incitava a mirare ma lei teneva gli occhi bassi dalla vergogna. Vedeva le donne alzarsi e andare in pista e non si capacitava del come riuscissero a farlo. A fine serata non aveva mosso un piede e aveva il formicolio alle gambe e il sedere a forma di sedia. Così apprese a sue spese che la prima legge dell’aspirante tanguera è quella di imparare a mirare con eleganza e con dignità.
La seconda volta che si recò a ballare era quindi già più preparata. Si era vestita di tutto punto per l’occasione. La serata volgeva al meglio e la milonga non era ancora affollata. Le luci erano soffuse e lei che è un po’ parecchio miope, vedeva solo ombre sparse in qua e il là. Aveva scelto un posto peraltro per sedere lontano dalla pista di ballo perché si sentiva meno manichino da vetrina e più protetta dagli sguardi altrui. Finita la serata si rese conto di non essere riuscita a ballare nemmeno per quella sera. Aveva imparato la seconda regola dell’aspirante tanguera e cioè quella di sedersi ben in vista e di scegliere milongas che non assomiglino a night club.
La terza doveva essere la volta buona. Era partita per andare in una milonga più distante e comunque non nel suo paese dove tutte le settimane facevano la milonga di mercoledì. Finalmente arrivata si accorse che non c’era quasi nessuno nonostante fosse l’ora in cui i tangueri dovevano essere arrivati quasi tutti. Aveva scelto con cura la posizione in eccellente pole position. In milonga c’erano solo 4 gatti di cui quasi tutte gatte che miagolavano ai poveri tangueri per ballare una tanda. Rosita per consolarsi ordinò al bar una bottiglia intera di prosecco che alla fine scolò completamente. Quando uno dei tangueri presenti si avvicinò, saltando il preliminare della mirada per invitarla, dovette dire di no, perché non si reggeva in piedi. Questo episodio le ha fornito ulteriori due leggi come aspirante tanguera: scegliere milongas dove il numero dei partecipanti è congruo e la seconda di non bere, se non si regge l’alcol.
Scoraggiata passarono diversi mesi prima di riandare a ballare. A casa sognava di ballare, organizzava dove andare, cosa mettersi, quali sandali indossare e poi all’ultimo minuto desisteva. Le ritornavano le immagini di lei barcollante, di lei miope, di lei che in pratica non se la filava nessuno. E niente, doveva imparare a miagolare. Ma com’è che, si chiedeva, in milonga ballano tutte e io che cerco di stare attenta a tutti i dettagli non mi invitano?
Proprio grazie a queste tormentose domande arrivò a una conclusione: sarebbe andata in milonga con l’idea di divertirsi, di fare due chiacchiere, di fare solo una bevuta ascoltando buona musica e se fosse capitato di ballare.
Certo, doveva comunque darsi da fare e fare la mirada, senza necessariamente essere scenografica ma il disegno fatalista cominciava ad affascinarla e lasciare tutto al caso le apriva uno spiraglio, cominciò pertanto ad avere nuovamente fede.
Si preparò spiritualmente e fisicamente per andare in milonga. Quando arrivò nel posto che aveva scelto aveva le farfalline nella pancia, come se stesse andando a un appuntamento d’amore. Era così emozionata le altre volte? Si chiedeva. Non le era parso. Le sembrava fosse buon segno, magari finalmente sarà la volta buona.
La milonga è molto bella, non è molto affollata, l’illuminazione sufficientemente adeguata da permettere di guardarsi negli occhi. Si siede al tavolo a bordo pista e si guarda intorno senza particolari pretese, altrimenti addio effetto fatalistico.
Si sofferma a guardare un bel tanguero poco distante. Aspetta il suo cabeceo, qualunque segno per la verità, e se ne sta lì ad aspettare con le mani giunte sulle ginocchia. Sente che l’uomo si avvicina, almeno così le sembra. Lo avverte prima che accada per davvero e percepisce lo spostamento dell’aria. Lui si muove nella sua direzione. Lei chiude gli occhi, pregustando il momento della tanda. Quando li riapre il suo uomo è andato oltre e l’aria le passa accanto. Invece vede che l’uomo fa alzare la donna accanto a lei e avviarsi verso la pista.
Così capisce l’ultima legge delle aspiranti tanguere: non mollare mai lo sguardo fino a quando il ballerino non è davanti a te.
Non desiste e non vuole andare via senza aver ballato e prendendo tutto il coraggio che non ha, si impegna a mirare, come se non ci fosse un domani, fino a quando un ballerino percependo il suo interesse per lui, si avvicina per invitarla, dopo averle fatto un sorriso accompagnato da un lieve cenno del capo.
Le sembra di sognare la favola rosa, quando per la prima volta sfiora il pavimento in parquet di quella milonga. Il fare galante di lui nel porgerle la mano e di cingerle la vita la portano ancora a volare su lontane terre incantate.
Le prime note del brano le fanno socchiudere gli occhi e come in tranche ascolta il corpo del suo ballerino che si appresta a eseguire i suoi movimenti.
Docile segue ogni suo passo, persa in mille emozioni, tanto da non capire la fine della tanda, poiché si ritrova seduta sulla sedia a sua insaputa. Le sembra di aver sognato. E’ successo! Ma è durato troppo poco. Non possono bastarle solo pochi minuti per appagare il suo desiderio di ballare.
Le si apre una voragine perché come il radar di un sottomarino, individua i puntini rossi presenti in sala e li colpisce con lo sguardo al punto da ricevere più cabecei di quante sono le sue mirade.
A casa beata, ripensa alla legge assoluta della natura tanguera: se vuoi ballare devi mirare, devi far sentire il tuo desiderio al ballerino, senza indugi, senza ripensamenti, senza timori. Diventare ‘coquete’, sorridere, sedurre. In altre parole, occorre portare la femmina tanguera con noi, quando si va in milonga!